Il fisico inglese Gilbert nel 1600 pubblicò la sua opera “De Magnete” nella quale affermava che “l’intera Terra è un grande magnete” il cui campo agisce sull’ago della bussola orientandola in direzione Nord-Sud. Non tutti i pianeti del sistema solare posseggono un campo magnetico, il nostro ci protegge dal bombardamento delle particelle solari e l’analisi a ritroso nel tempo delle variazioni è affatto semplice.
Le prime annotazioni sui campi geomagnetici partono con l’invenzione di un metodo per misurarli proposta dallo scienziato tedesco Gauss a metà del XIX secolo; da allora le misure rivelano che l’intensità del campo magnetico è progressivamente calata dello 0,05 % all’anno e che il suo polo Nord si è spostato di millecento chilometri negli ultimi cento anni, con la possibilità, se si mantenesse l’attuale tendenza, di arrivare in Siberia entro cinquant’anni. Molti scienziati reputano queste indicazioni come prove del prossimo capovolgimento geomagnetico, ma per comprendere cosa capiterebbe, bisogna scandagliare l’interno della Terra.
A circa tremila chilometri di profondità inizia il nucleo del pianeta, composto prevalentemente da ferro, più internamente a circa cinquemila chilometri si trova una zona liquida che al suo interno contiene a sua volta quello chiamato nucleo interno, che è solido a causa dell’elevata pressione. Sia la zona solida che quella liquida ruotano, ma con velocità differenti, tanto che la parte liquida viene trascinata da quella solida e sommate alle differenze di temperatura nei vari strati, le correnti danno vita ad una grande dinamo, come quelle usate sulle biciclette, ma quella terrestre risulterebbe ogni tanto instabile, tanto da generare un’inversione del campo magnetico terrestre.
Secondo i dati riportati nei diari di bordo, che abbracciano una finestra temporale di duecentocinquanta anni a partire dal 1590, emerge che l’intensità dei campi magnetici è calata ad un ritmo quasi sette volte più lento di quello attuale fino al 1840, quando la velocità di riduzione ha subito una brusca accelerazione, come se all’interno della Terra fosse accaduto qualche fenomeno in grado di mutare il comportamento del campo magnetico. In realtà queste variazioni non sono per nulla anomale per scale di tempo geologiche, infatti le rocce fuse eruttate dai vulcani contengono del ferro al loro interno che, a causa dell’alta temperatura, non si può magnetizzare, ma quando queste stesse si raffreddano la loro componente ferrosa si magnetizza “registrando” il campo magnetico del momento.
È proprio grazie a queste rocce che gli scienziati sono in grado di studiare il paleomagnetismo, risalendo ad epoche remotissime e scoprendo, appunto, che questo è ben lungi dal rimanere stabile, e che anzi, mediamente ogni trecentomila anni, avviene un’inversione dei poli magnetici della Terra. L’ultima inversione è avvenuta circa 780.000 anni fa, chissà se il campo magnetico terrestre nel futuro continuerà ad indebolirsi fino a scomparire, prima di una prossima inversione dei poli?
Nel Sud dell’Atlantico esiste un’ampia zona nella quale si registra un minimo dell’intensità del campo magnetico rispetto ai valori normalmente registrati alle stesse latitudini, questa anomalia rappresenterebbe una falla nello scudo magnetico terrestre, e anche se al suolo non si registra nessun effetto ha però costretto la NASA ad adottare misure particolari per i satelliti che passano con regolarità su questa zona geografica e che ricevono una maggiore dose di particelle solari con conseguenze negative sulle apparecchiature di bordo e soprattutto per gli astronauti, che debbono essere maggiormente protetti.
mercoledì 14 marzo 2012
Terra è un grande magnete Feed RSS dell'articolo
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