giovedì 20 gennaio 2011

Quanto ci si può avvicinare a una colata di lava?

In alcuni casi è possibile arrivare così vicino da poter raccogliere campioni di materiale quando la lava è ancora in movimento. Molto dipende dal tipo di eruzione e dal punto in cui ci si avvicina alla colata. È da escludere, per esempio, che ci si possa approssimare a materiali emessi da vulcani in attività esplosiva, perché questi vengono sparati verso l'alto in modo estremamente violento. È più semplice invece avvicinarsi a colate effusive (cioè non esplosive). In questo caso, vicino alla bocca di emissione, le lave sono generalmente fluide e hanno temperature che raggiungono i 1.500 gradi. 

Il Villarrica è uno dei più attivi vulcani del Cile. Il riflesso del magma all'interno della camera magmatica colora di rosso i vapori e il fumo che escono dal vulcano.        








Lungo il percorso. La velocità di scorrimento della lava può raggiungere anche qualche decina di chilometri l'ora. Ma già a poche centinaia di metri dalla bocca eruttiva, in seguito al raffreddamento, la velocità si riduce molto e questo permette ai vulcanologi di raggiungere la lava quando è ancora in movimento, indossando una tuta ignifuga. A distanze maggiori dalla bocca, la velocità diminuisce sempre più ed è sempre meno complicato avvicinarsi, anche se le temperature possono rimanere su valori di centinaia di gradi anche a chilometri di distanza dal punto di emissione.

Mosè separò le acque. E la scienza spiega come

Un team di ricercatori americani ha spiegato scientificamente  uno degli eventi più antichi e misteriosi della storia: la separazione delle acque del Mar Rosso compiuta da Mosè e raccontata nella Bibbia.


La divisione delle acque del Mar Rosso descritta nell’Antico Testamento, operata da Mosè per portare in salvo gli Israeliti inseguiti dagli Egiziani, potrebbe non essere stata un miracolo divino ma… atmosferico.
È questa la singolare, e forse per alcuni blasfema, conclusione alla quale sono arrivati i ricercatori dell’Università del Colorado e del National Centre for Atmospheric Research. Gli scienziati hanno utilizzato una complessa simulazione computerizzata per ricostruire i venti e i moti ondosi che avrebbero dato origine alla lingua di terra asciutta utilizzata dal Popolo Eletto per mettersi in salvo dai loro inseguitori.

La Bibbia ha quasi ragione

Secondo Carl Drews e i suoi collaboratori il luogo dell’incredibile evento non sarebbe però il Mar Rosso, ma un luogo situato più a nord, sul delta del Nilo, nei pressi del Mediterraneo: il lago Manzala.
«I risultati della simulazione coincidono quasi perfettamente con il racconto dell’Esodo» spiega Drews. Un forte vento proveniente da est levatosi durante la notte potrebbe aver respinto indietro le acque di una laguna per uno tempo sufficiente a permettere il passaggio del popolo di Mosè, per poi richiudersi sopra la cavalleria del Faraone. 

«La divisione delle acque può essere spiegata con modelli fluido-dinamici» afferma Drews, «il vento sposta l’acqua secondo leggi compatibili con la fisica, creando un passaggio asciutto con l’acqua sui due lati, che improvvisamente si richiude». Proprio come nel racconto biblico.
Drews ha dedicato anni a studiare la storia della traversata e si è basato su antichi studi di geografia che gli hanno permesso di ricostruire la morfologia dell'area e la profondità del Nilo nelle varie zone del delta. Ha poi utilizzato queste informazioni per alimentare una simulazione computerizzata che gli ha permesso di identificare la zona nella quale sarebbe potuto verificarsi lo straordinario evento.

Muri di acqua
Secondo i calcoli di Drews un vento a 100 km/h spirato da est per 12 ore avrebbe potuto creare un corridoio asciutto lungo 3-4 chilometri e largo 5 che sarebbe rimasto aperto per circa 4 ore in una laguna nei pressi della odierna Port Said.
Altri studi condotti in passato avevano ipotizzato che l’arretramento delle acque avrebbe potuto essere provocato da tifone o da uno tsunami ma queste due teorie non combaciano con il racconto biblico: il vento di un tifone non avrebbe infatti permesso agli israeliti nemmeno di reggersi in piedi, mentre uno tsunami non causa una divisione delle acque come quella descritta nei Testi Sacri.

"Allora Mosè stese la sua mano sul mare e il Signore fece ritirare il mare con un forte vento orientale, durato tutta la notte, e lo ridusse in terra asciutta. Le acque si divisero, e i figli d'Israele entrarono in mezzo al mare sulla terra asciutta; e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra."
Esodo 14, 21-22

Il 2010 è stato il secondo anno più caldo della storia dopo il 1998

Il 2010 è stato il secondo anno più caldo della storia dopo il 1998 almeno dal 1850, da quando cioè si registrano regolarmente le temperature. Lo ha annunciato oggi Phil Jones, direttore dell'Unità di ricerca climatica (Cru) britannica.
L'unità di Jones, che compila i dati con l'Ufficio Meteorologico Hadley Centre, è uno dei tre gruppi principali che nel mondo seguono l'andamento del riscaldamento globale. La scorsa settimana gli altri due enti, che hanno sede negli Usa, avevano detto che il 2010 poteva forse ambire al titolo di anno più caldo.
I dati indicano che tutti gli anni tranne uno dello scorso decennio sono tra i 10 più caldi, sottolineando una tendenza al riscaldamento legata alle emissioni umane di gas a effetto serra, ha detto Jones a Reuters.
"Tutti gli anni dal 2001 al 2010, escluso il 2008, sono nella top ten".
La lotta globale contro il cambiamento climatico ha subito un colpo a seguito della crisi finanziaria, con un rallentamento dei fondi per i progetti di energia rinnovabile e con l'insuccesso nella ricerca di un nuovo patto climatico che dal 2013 prenda il posto del cosiddetto Protocollo di Kyoto.
I nuovi dati sembrano rafforzare le prove che sia l'uomo all'origine del cambiamento climatico.
L'anno scorso è stato di 0,498 gradi Celsius sopra la media 1961-1990, indicano i dati Cru-Hadley, rispetto agli 0,517 gradi del 1998. L'anno più vicino al 2010 è stato il 2005, con 0,474 gradi in più rispetto alla media 1961-1990.
la scorsa settimana il National Climatic Data Center della National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense e il Goddard Institute for Space Studies della Nasa (Giss) hanno riportato dati simili, indicando il 2010 come il possibile anno più caldo insieme al 2005.
I tre gruppi usano osservazioni simili ma in modi leggermente diversi. per esempio, il Giss tiene in maggior conto le stazioni meteorologiche artiche, dove il riscaldamento è stato più veloce.
Tutti gli anni più caldi sono separati tra loro solo da poche frazioni di grado.

  I temporali terrestri creano antimateria, cioè particelle identiche a quelle che formano la materia, ma simmetriche e con carica elettrica opposta.
Ipotizzata da Paul Dirac alla fine degli anni '20 e verificata sperimentalmente nel 1932, potrebbe essere molto più comune di ciò che gli scienziati si aspettavano. Le ultime evidenze scientifiche hanno infatti dimostrato che l'antimateria non esiste solo all'interno del Sole, degli acceleratori di particelle o di altri complicati apparecchi scientifici, ma viene prodotta in grandi quantità durante i normali temporali terrestri (come nasce l'antimateria sul Sole? Scoprilo qui).
La scoperta è stata effettuata grazie al telescopio spaziale Fermi, in grado di rilevare le emissioni di raggi gamma. Che i temporali emettessero flash di raggi gamma è noto da tempo, ma qualche giorno fa Fermi ha rilevato un'emissione di queste onde elettromagnetiche particolarmente potente. Gli scienziati hanno scoperto che era prodotta da fasci di positroni, l'opposto degli elettroni, che colpivano il telescopio, annullandosi nello scontro con gli elettroni presenti sulla sua superficie (motori ad antimateria, teletrasporto e viaggi più veloci della luce: la fisica di Star Trek).
"È la prima prova diretta che i temporali producono antimateria" ha spiegato alla stampa Micheal Briggs dell'Università dell'Alabama.
Ma da dove arriva l'antimateria? Secondo gli scienziati i raggi gamma prodotti durante i temporali potrebbero creare positroni ed elettroni quando colpiscono gli atomi presenti nell'atmosfera terrestre. Non è chiaro quali potrebbero essere le implicazioni di questa scoperta, ma i ricercatori sono convinti che li aiuterà a risolvere il mistero che c'è dietro la formazione dei raggi gamma durante i temporali.
Scopri la teoria delle stringhe: permette di spiegare tutto, dalle particelle elementari all' Universo.

    mercoledì 19 gennaio 2011

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    Sono iniziati i saldi.


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    lunedì 17 gennaio 2011

    Castello di Riva del Garda

    La Rocca di Riva oggi è sede del Museo civico di Riva del Garda. Antichissimo castello di Riva del Garda, la Rocca di Riva, nonostante le diverse trasformazioni, ancora oggi conserva un aspetto austero e al tempo stesso elegante. Le pareti di pietra o di malta, le quattro torri angolari, il piccolo ponte d’ingresso sul canale che specchia i giardini e gli alberi del Brolio caratterizzano la Rocca. Il profondo restauro di questi ultimi anni è servito per riportare alla luce alcune antiche strutture e a dare spazio adeguato al Museo comunale, dove si conservano importanti testimonianze della storia, dell’arte e della cultura locale.
    Del castello esistono testimonianze a partire dal 1124, quando la comunità locale ottenne il permesso di edificare un castrum novum sulle rive del Garda. Successivamente la Rocca diventò il simbolo del potere militare, il luogo dove si esercitava il potere delle signorie dominanti. Fu probabilmente ampliata dagli Scaligeri e dai Veneziani. Altre modifiche furono apportate durante la lunga dominazione dei principi vescovi di Trento e in particolare di Bernardo Clesio. Le illustrazioni del passato la propongono diversa dalla struttura attuale, con alcuni elementi che comunque si ripetono fino alla seconda metà del secolo scorso: la doppia cinta merlata, le torri angolari, le peschiere e i giardini di rose e di frutta descritte nelle cronache rinascimentali e barocche.

    Castel Thun

    In posizione panoramica a Vigo di Ton, Castel Thun è uno splendido esempio di architettura castellana trentina. Emblema degli antichi fasti di una delle più potenti casate trentine, Castel Thun domina per bellezza e importanza la Val di Non. Edificato nella metà del XIII secolo, fu sede della famiglia dei Thun. La struttura civile-militare è tipicamente gotica, circondata da un complesso sistema di fortificazioni a pianta regolare, composto da torri di vedetta, baluardi, bastioni lunati, fossato e cammino di ronda. Spicca la Porta Spagnola, così denominata in memoria del leggendario viaggio in Spagna di un giovane Thun, protetta da due torrette, dette della malta, e decorata da un suggestivo bugnato. Acquistato dalla Provincia autonoma di Trento nel 1992, oggi Castel Thun è una delle sedi del Museo Castello del Buonconsiglio.
    Superato il primo cortile, s’incontra l'ingresso del palazzo comitale. Al piano terra si trovano le sale pubbliche, mentre al primo piano c’erano le stanze dei signori. Tra le numerose sale, ancora riccamente arredate, sono da segnalare la Stanza del Vescovo interamente rivestita di legno cimbro, che fu abitata dal principe-vescovo Sigismondo Alfonso Thun, e la Stanza del Camino, caratterizzata da un magnifico caminetto rinascimentale. La Stanza dei Morti riporta ancora sulle sue pareti annerite i segni del fumo dei ceri accesi durante le veglie funebri. La cappella del castello, dedicata a S. Giorgio, conserva un interessante ciclo di affreschi di scuola tedesca risalenti alla seconda metà del XV secolo.

    Castel Drena

    Castel Drena è un esempio di fortezza medievale che domina il deserto delle Marocche. Ai piedi di Castel Drena, che domina la profonda gola del Rio Salagoni, si estende il suggestivo deserto delle Marocche, nato dal particolare fenomeno glaciale che ha portato alla formazione di una distesa di macigni di 187 milioni di metri cubi. Costruito nel corso del XII secolo, Castel Drena, sorto probabilmente su un villaggio preistorico, fu venduto nel 1175 dai primi possessori, la famiglia da Seiano, ai d'Arco che ne fecero un fondamentale strumento di controllo della via di collegamento fra Trento e il Garda. La sua posizione strategica lo rese oggetto di continue contese nel corso del Medioevo: bloccava e controllava l'unico valico transitabile, e quindi obbligato, fra la Valle del Sarca e quella di Cavédine. Inattaccabile dalle fiamme, difeso da due ordini di mura, eretto sulla rupe in posizione dominante, era imprendibile con i mezzi d'assalto usati al tempo.
    La costruzione è essenzialmente romanica con qualche elemento gotico e alcune strutture cinquecentesche. Le tracce di una piccola chiesa dedicata a S. Martino, culto seguito all´espansione dei Franchi, documentano un´attiva frequentazione della zona già in epoca carolingia (IX-X secolo). Un´area cimiteriale cingeva all´esterno la prima costruzione in muratura sorta sulla collina, che poi si trasformò in castello con la feudalizzazione della zona.

    domenica 2 gennaio 2011

    Il Polo Nord

     Il Polo Nord Estremo punto settentrionale dell'asse terrestre (Vedi Terra), situato nel Mar Glaciale Artico, in una zona in cui è ricoperto dalla banchisa. L'esploratore Robert Edwin Peary è considerato il primo uomo ad aver raggiunto il Polo Nord; la spedizione, composta dallo stesso Peary, dal suo assistente Matthew A. Henson e da quattro inuit, raggiunse la meta nel settembre del 1909. Il Polo Nord è situato a circa 1600 km dal polo nord magnetico, posto presso l'isola di Bathurst, nel Canada settentrionale. I ghiacci dell'Artide galleggiano sul mar Glaciale artico, una parte dell'oceano Atlantico, ed è compreso tra le coste settentrionali dell'Europa, dell'Asia e dell'America. Questo mare è collegato all'oceano Pacifico per mezzo dello stretto di Bering. Il confine tra il mar Glaciale artico e l'oceano Atlantico è meno evidente perché è determinato principalmente da una serie di catene montuose sottomarine che si estendono dalla Scozia alla Groenlandia e da questa all'isola di Baffin, a una profondità compresa tra 500 e 700 m. La superficie complessiva del mar Glaciale artico è di circa 14 milioni di kmq. La morfologia del suo fondale iniziò a essere nota solo a partire dalla fine del 1940 ed è caratterizzata da quattro vasti e profondi bacini, separati da alcune dorsali sottomarine parallele. La dorsale di Lomonosov taglia l'Artico a metà e si allunga per circa 1700 km, dalla Siberia all'estremità nordoccidentale della Groenlandia. Le altre due dorsali sono meno estese. La profondità media del mar Glaciale artico è di circa 1500 m con il punto più profondo a 5450 m. Sino agli inizi degli anni Novanta tuttavia, le conoscenze scientifiche del mare erano scarsissime, perché erano soprattutto i militari americani e russi a studiare i fondali per scopi puramente militari e i dati non venivano rilasciati alle comunità scientifiche. Con la fine della guerra fredda ciò che si conosceva è stato messo a disposizione del mondo scientifico e ancora oggi numerosi scienziati sono impegnati nel valorizzare quanto tenuto segreto dai militari.

    Struttura e variazioni del campo magnetico


    Quando si effettua la misura del campo magnetico terrestre in un determinato punto della superficie del nostro pianeta questa fornisce un valore che è, come detto, il risultato della sovrapposizione di contributi aventi origine diversa.
    Questi contributi possono essere considerati separatamente e ciascuno di essi corrisponde ad un diverso campo:
     
    1.      Campo principale, generato nel nucleo fluido tramite il meccanismo di geodinamo
    2.      Campo crostale, generato dalle rocce magnetizzate della crosta terrestre;
    3.      Campo esterno, generato da correnti elettriche che fluiscono nella ionosfera e nella magnetosfera come conseguenza dell'interazione tra il vento solare e il campo geomagnetico
    4.      Campo d'induzione elettromagnetica, generato da correnti indotte nella crosta e nel mantello dal campo esterno variabile nel tempo.

    L'IGRF (International Geomagnetic Reference Field) è un modello globale del campo geomagnetico e vuole rappresentare il contributo del solo campo principale. La parte residua all'IGRF osservata in superficie rappresenta il contributo delle anomalie del campo geomagnetico, ossia le deviazioni rispetto all'andamento teorico del campo principale. Andando più in dettaglio, le anomalie si possono a loro volta dividere schematicamente in anomalie regionali, aventi estensioni di migliaia di chilometri, e anomalie locali, aventi estensioni inferiori.

    Per la sua geometria il campo geomagnetico terrestre ha le linee di forza entranti nella Terra nell'emisfero Nord e uscenti in quello Sud; quindi l'estremo libero di polarità Nord (positivo) di un ago magnetico tenderà a disporsi in verticale con il suo Nord verso il basso in presenza di polo magnetico di polarità Sud (negativo). E' comunque tradizione chiamare polo magnetico Nord terrestre semplicemente quello che si trova nell'emisfero Nord e polo magnetico Sud quello che si trova nell'emisfero Sud, in accordo con i corrispondenti poli geografici.
    Il campo magnetico terrestre è soggetto a variazioni che possono essere: di breve periodo, secolari, di lunghissimo periodo. Le variazioni di breve periodo possono avvenire in poche ore o in anni, e sono collegate alle iterazioni tra il campo magnetico interno alla Terra e gli strati fortemente conduttivi nell’atmosfera. Queste variazioni possono essere divise in: regolari ed irregolari.


    Tra le prime vi sono quelle giornaliere, determinate dalle azioni “mareali” del Sole e della Luna sulla ionosfera terrestre (lo strato ionizzato presente nell’atmosfera tra i 50 – 60 Km e 400 Km di altitudine) per esempio, alle medie latitudini, il vettore campo magnetico descrive un’ellisse durante il giorno, seguendo lo spostamento del Sole; quella mensile (ogni 27 giorni circa) che è messa in relazione con particolari campi magnetici della nostra stella.

    Tra quelle irregolari, vi sono quelle che prendono il nome di tempeste magnetiche ches ono collegate ad attività solari particolarmente intense, dette “brillamenti solari”, o più in generale all’attività delle macchie solari. 
    Come ha dimostrato E. N. Parker nel 1958, il vento solare è un plasma caldo emesso dalla corona solare, costituito essenzialmente da idrogeno ionizzato (protoni ed elettroni non legati fra loro). Questo flusso di particelle cariche, emesso dal Sole in direzione radiale con una velocità variabile da 400 a 800 km/s, genera un campo magnetico che, interagendo con quello terrestre, ne modella le linee di forza, che risultano leggermente schiacciate contro la Terra dalla parte prospiciente il Sole ed allungate in modo da formare una coda dalla parte opposta. Un gran numero di protoni e di elettroni energetici del vento solare penetra nel campo magnetico terrestre, dove rimane confinato in due regioni, denominate fasce di Van Allen, dal nome dello scienziato che ebbe l'occasione di scoprirle nel 1958. 

    La fascia di Van Allen interna si estende da circa 800 km fino a circa 4000 km al di sopra della superficie terrestre mentre quella esterna si estende sino a circa 60.000 km dalla terra. Esistono buone prove per dimostrare che la fascia interna è composta di protoni ed elettroni derivati dal decadimento di neutroni prodotti nell'atmosfera terrestre da interazioni di raggi cosmici, mentre la fascia esterna e' costituita principalmente da particelle cariche emesse dal Sole. Un aumento del numero di queste particelle è associato con l'attività solare, e il loro allontanamento dalla fascia di radiazioni provoca le aurore boreali sui poli ed interruzioni delle trasmissioni radio.
    I dati sul campo geomagnetico raccolti negli ultimi 400 – 500 anni hanno messo in evidenza che declinazione, inclinazione ed intensità hanno subito variazioni graduali su tutto il globo. A Londra, per esempio tra il 1580 ed il 1970 questa variazione è risultata in media di circa 0,1° all’anno, il che equivale a 10° ogni secolo. Le variazioni secolari risultano diverse da luogo a luogo anche in modo considerevole, e gli aspetti più interessanti di queste variazioni sono una costante e lenta diminuzione dell’intensità del campo del dipolo principale, ed una migrazione verso ovest del campo ad un ritmo di una frazione di grado ogni anno. Ciò fa pensare che le variazioni secolari del campo magnetico siano dovute a variazioni che avvengono entro la Terra a grande profondità, diversamente da quelle a breve periodo.
    Dal punto strettamente geologico si tratta di variazioni estremamente rapide; in meno di duemila anni il campo magnetico si potrebbe praticamente rovesciare con un inversione dei poli magnetici. I fenomeni prettamente geologici concernono materiali rocciosi e si attuano alla scala di milioni di anni; soltanto il movimento di un fluido può essere così rapido, per cui in definitiva, il nucleo fluido sembra la sorgente più plausibile non solo del campo magnetico, ma anche delle sue fluttuazioni.

    La dinamo autoeccitante

                I materiali magnetici perdono il loro magnetismo permanente se sottoposti ad alte temperature, il valore di temperatura per cui ciò avviene è detto punto di Curie; per molti materiali magnetici questo valore è attorno ai 500 - 600 °C (per la magnetite, 580°C, per l’ematite 680°C), una temperatura che viene raggiunta nel sottosuolo ad una profondità di circa 20-30 Km. L’idea che in prossimità del centro della Terra esiste qualcosa di permanentemente magnetizzato è quindi chiaramente insostenibile, anche se tale supposizione spiega bene la distribuzione del campo magnetico terrestre.
                Dallo studio dell’elettricità sappiamo che si possono produrre campi magnetici mediante correnti elettriche e viceversa. Le grandi dinamo delle centrali energetiche producono energia elettrica ruotando in un campo magnetico.
                All’interno della Terra, e precisamente nel nucleo, esisterebbe quindi una specie di dinamo(teoria della ”dinamo autoalimentata” proposta da Bullard nel 1948) capace di produrre correnti elettriche generanti a loro volta il campo magnetico da noi misurato. Questa dinamo autoeccitante sarebbe costituito dal nucleo, fluido e ricco di ferro della Terra, rimescolato da continui moti convettivi prodotti dal calore radioattivo generantesi dal nucleo stesso.
                Tutto avrebbe inizio con la presenza di un casuale, anche se piccolo, campo magnetico che interagirebbe col ferro fluido in movimento, producendo correnti elettriche che a loro volta creerebbero un ulteriore campo magnetico, iniziando così un processo a catena autosostenuto, la già citata dinamo autoeccitante.
     

    Anomalie magnetiche

    Strettamente collegate all’inversione di polarità sono le strane ed importantissime anomalie magnetiche riscontrate sui fondali oceanici. Per eseguire delle misurazioni del campo magnetico terrestre in mare, i magnetometri vengono trainati dietro le navi ad una certa distanza per evitare le interferenze dovute agli scafi ed ai motori. La massima parte del magnetismo misurato deriva dai basalti del fondo oceanico ricchi di magnetite.
                Durante la perlustrazione dei fondi oceanici, gli oceanografi scoprirono delle anomalie magnetiche distribuite in modo assai caratteristico. Queste anomalie rappresentano delle piccole deviazioni, dell’ordine dei milligauss, dei valori medi dell’intensità del campo magnetico terrestre. In un’area con anomalia positiva, il campo magnetico terrestre ha intensità maggiore del normale, mentre in un’area con anomalia magnetica negativa, l’intensità è minore del normale.
                Le anomalie magnetiche riscontrate nell’oceano hanno un andamento a bande lineari e parallele che continuano per centinaia di chilometri; esse presentano inoltre una distinta simmetria bilaterale rispetto alla dorsale medio – oceanica; questo accade poiché dalle dorsali si forma continuamente nuova crosta oceanica accompagnata dal progressivo allontanamento di quella già formata dall’asse della dorsale. Quindi la lava che solidifica registra le inversioni del campo magnetico terrestre e si formano delle fasce di fondale (larghe da 5 a 50 Km), simmetriche al punto di origine, che conservano proprietà magnetiche opposte. La carta delle anomalie magnetiche dei fondali oceanici risulta allora essere una carta della distribuzione della magnetizzazione, normale o inversa, delle rocce costituenti il fondo stesso. Correlando queste inversioni con la scala dei tempi geomagnetici, è stato possibile datare i fondi oceanici e si è constatato che i fondali oceanici non hanno un’età superiore a 200 milioni di anni nelle parti più antiche, età che è molto diversa da quella registrata per alcune rocce continentali che arrivano a 3,8 miliardi di anni. Questo significa che il fondo oceanico è cambiato molte volte nel corso della storia della Terra.
    Altro interessante aspetto delle anomalie magnetiche dei fondi oceanici è che è possibile ricostruire la posizione dei continenti, l’uno rispetto all’altro, in un dato momento della storia della Terra. Spostando e facendo coincidere con l’asse della dorsale le anomalie associate allo stesso periodo temporale, si ottiene il profilo del fondo oceanico in quel particolare tempo geologico e quindi anche i profili delle terre emerse.
                Oltre alle anomalie dei fondali oceanici dovute alle inversioni di campo magnetico esistono anche anomalie dovute alle caratteristiche costitutive della crosta terrestre. Il campo magnetico terrestre dovrebbe infatti crescere regolarmente da 0,28 oersted all’Equatore a 0,71 oersted ai poli magnetici. In realtà tra questi due valori estremi il campo magnetico si distribuisce in modo non sempre prevedibile proprio per la presenza di anomalie di origine ancora poco nota e per le oscillazioni di cui si è parlato nel primo paragrafo. Per tale motivo lo studio delle anomalie magnetiche è riferito ad un campo magnetico normale regionale, cioè ben definito per una zona di ampiezza limitata. Le anomalie più intense e localizzate sono quelle provocate da giacimenti di materiale ferromagnetico, da rocce intrusive ed effusive ricoperte da depositi sedimentari, dal basamento cristallino. Per valutare l’intensità di queste anomalie bisogna sottrarre dalla misura sul terreno, oltre al campo normale regionale, anche le oscillazioni periodiche

    Inversioni di polarità

    Inversioni di polarità

    Un particolare aspetto del paleomagnetismo, riguarda le inversioni del campo geomagnetico, riconosciute per la prima volta quando a seguito dell’analisi delle colate laviche degli ultimi cinque milioni di anni si riscontrò direzioni del campo paleomagnetico divergenti di 180°.
    Irregolarmente, ma circa ogni mezzo milione di anni, il campo magnetico della Terra cambia polarità (il polo nord diventa polo sud e viceversa), impiegando qualche migliaio di anni ad invertire la propria direzione. Successivamente, usando vari metodi di datazione, si è potuto stabilire che queste inversioni si succedono con lo stesso ordine cronologico, anche in zone assai distanti tra loro e si è ricostruita la storia delle inversioni negli ultimi 5 – 7 milioni di anni, sotto forma di una scala cronostratigrafica magnetica.
    Si è così trovato che circa la metà di tutte le rocce studiate hanno magnetizzazioni opposta a quella dell’attuale campo magnetico della Terra. Questo implica che il campo magnetico si è “ribaltato”, da normale ad inverso piuttosto frequentemente nel passato geologico e che campi magnetici normali o inversi sono ugualmente probabili.
    I periodi più lunghi, dell’ordine del mezzo milione di anni, sono chiamati epoche magnetiche, ognuna con un nome di un famoso scienziato del paleomagnetismo. Ma durante le epoche si registrano anche brevi inversioni dette eventi magnetici che possono durare dai 10.000 ai 100.000 anni.
    La causa di queste periodiche inversioni del campo geomagnetico non è ancora conosciuta. Non è ancora stato accertato se il campo si affievolisce lentamente per poi aumentare gradualmente nella direzione opposta o se semplicemente si ribalta. Tutto il fenomeno dipende da quella sorta di dinamo che è il nucleo terrestre, la quale, evidentemente, può variare la propria polarità casualmente e con una certa facilità.

    La migrazione dei poli


                Negli ultimo cinquant’anni vari gruppi di ricercatori indagando sul paleomagnetismo presente in vari tipi di rocce distribuiti sia sul continente americano che europeo, hanno registrato una continua variazione della posizione del polo nord attraverso le varie ere geologiche.
                L’indagine ha rilevato che circa 500 – 600 milioni di anni fa, il polo nord si trovava lungo l’equatore, nel mezzo dell’attuale Oceano Pacifico, inoltre i risultati ottenuti dall’analisi delle rocce americane rispetto a quelle europee davano posizioni diverse per il polo.
                La spiegazione del fenomeno comportava due possibili soluzioni: o si facevano migrare i continenti mantenendo fissi i poli, o si facevano migrare i poli tenendo fissi i continenti.
                La migrazione dei poli è causata dallo spostamento dell’asse di rotazione terrestre; quando ciò avviene, i poli, che sono i punti in cui tale asse incontra la superficie terrestre, si spostano su di essa compiendovi un certo tragitto. Già nel 1889 l’astronomo italiano Schiapparelli aveva fatto notare che l’asse di rotazione terrestre può non coincidere con l’asse di inerzia. I due assi corrisponderebbero solo nel caso in cui
    le masse che costituiscono la Terra fossero disposte con perfetta simmetria rispetto all’asse di rotazione terrestre, il che evidentemente non corrisponde alla realtà. Conseguentemente il movimento di rotazione non è del tutto regolare, e si è constatato che la posizione dei poli subisce in effetti dei piccoli spostamenti, dell’ordine di pochi metri attorno all’asse dell’ellissoide terrestre. In mancanza di perturbazioni esterne l’asse di rotazione terrestre, in accordo con la legge di conservazione del momento angolare, rimane praticamente fisso nello spazio.
                L’unica ipotesi plausibile per spiegare l’apparente migrazione dei poli è quindi quella di considerare la deriva dei continenti; in realtà sono i continenti che, migrando sulla superficie del globo, si sono mossi rispetto all’asse di rotazione terrestre.

    Paleomagnetismo

    Da quanto detto precedentemente il punto di Curie corrisponde alla temperatura alla quale scompare il magnetismo permanente, quando si riscalda un materiale magnetico. Una fondamentale proprietà di molte rocce magnetiche è che, raffreddandosi sotto il punto di Curie, acquisiscono una magnetizzazione che ha la stessa direzione del campo magnetico in cui erano immerse al momento del raffreddamento.
                Una lava fuoriuscendo da un vulcano, raffreddandosi, “si orienta”, assume cioè una magnetizzazione secondo il campo magnetico di quel luogo e di quel momento. Una volta divenuta roccia a meno di essere riportata sopra il punto di Curie, i dati magnetici rimangono registrati in questa lava per sempre, quasi fossero congelati (magnetizzazione termorimanente). Questo magnetismo fossile, che si conserva anche se il campione di roccia è sottoposto a modesti disturbi meccanici, magnetici, termici e che quindi permane inalterato anche a distanza di decine o centinaia di milioni di anni, è detto paleomagnetismo.
    Soltanto alcuni tipi di rocce risultano utili all’indagine paleomagnetica. Le lave basaltiche, ad esempio, appartengono a questa categoria; esse sono abbastanza ricche di minerali ferriferi ed acquisiscono la magnetizzazione mentre si raffreddano. Misure paleomagnetiche sono possibili anche su rocce sedimentarie ricche di ossido di ferro. Sembra infatti che i costituenti ferromagnetici (in prevalenza granellini di magnetite ed altri minerali di ferro) siano suscettibili, durante la deposizione, di orientarsi secondo l’andamento del campo geomagnetico. Anche le rocce sedimentarie, deposte in acque tranquille, conservano una piccola magnetizzazione (detta magnetizzazione detritica residua) che può essere misurata con strumenti molto raffinati.
                Sfruttando questa proprietà i geofisici soprattutto negli anni cinquanta e sessanta cominciarono a raccogliere rocce di tutte le età e di varie parti del globo rilevando tre interessanti e sorprendenti fenomeni:
    ·        La migrazione dei poli,
    ·        Le inversioni di polarità,
    ·        Le anomalie magnetiche dei fondi oceanici.  



               

    IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE

    La terra come ogni altro corpo dotato di massa, è circondata da un campo gravitazionale che attrae altri corpi. Sin dalla formulazione della legge di gravitazione datane da Newton, siamo in grado di determinare gli effetti della gravità, calcolando l’accelerazione di un oggetto in caduta, le orbite planetarie le traiettorie dei missili o delle navicelle spaziali, ma non siamo ancora in grado di determinare le cause di ciò. Allo stesso modo misuriamo che la Terra produce un campo magnetico, ma possiamo solo speculare sulle cause prime che lo generano.
     Sin dal tempo dei Greci oltre 2500 anni fa erano note le proprietà di un particolare minerale di ferro chiamato magnetite. Successivamente in estremo oriente venne inventata il primo prototipo di bussola, perfezionata ad Amalfi nella prima metà del XIII secolo. Grazie alla bussola furono possibili le grandi scoperte geografiche del 1400 – 1500. In meno di cinquant’anni grazie a questo strumento l’orizzonte delle conoscenze geografiche si allargò fino a comprendere tutte le terre emerse con l’eccezione dell’Antartide e dell’Australia.

    Nel 1600 il fisico inglese W. Gilbert (1540-1603)  nel “De Magnete”, asserì che “l’intera Terra è un grande magnete” il cui campo agisce sull’ago della bussola orientandolo in direzione nord – sud.
    L’astronomo E. Halley (1656-1742), si accorse del mutamento di certe caratteristiche del campo magnetico terrestre che ne indicavano uno spostamento verso Ovest.
                Occorre però attendere fino al 1832 per avere una esatta configurazione del campo magnetico terrestre ad opera di K. F. Gauss (1777-1855) che per primo ne tracciò le linee di forza e ne iniziò lo studio dal punto di vista fisico - matematico.
                La presenza del campo magnetico terrestre è rilevata da molti fenomeni direttamente osservabili; tra questi i più notevoli sono, come detto, l’azione orientatrice che subiscono i corpi magnetizzati, il magnetismo indotto nei materiali ferromagnetici, la cattura da parte della Terra di particelle elettricamente cariche provenienti dallo spazio esterno.
                Gli elementi che definiscono il campo magnetico terrestre per ogni punto della superficie terrestre, sono il vettore intensità del campo, la declinazione magnetica, l’inclinazione magnetica e le componenti del vettore campo nei piani orizzontale e verticale.

                L’analisi dei valori degli elementi magnetici condotta con opportuni metodi matematici, introdotti da Gauss, ha consentito di stabilire che l’origine del campo magnetico terrestre è per la quasi totalità (96%) interna (secondo alcuni autori il campo magnetico terrestre sarebbe rappresentabile da un dipolo centrale e da otto dipoli radiali collocati a 4800 Km di profondità). Il restante valore, detto campo residuo, è dovuto al contributo delle anomalie magnetiche, di scambi elettrici tra atmosfera e superficie terrestre, e degli sciami di particelle cariche provenienti dallo spazio, in specie dal sole.
                Prendendo in esame solo il valore del campo preponderante dovuto a cause interne, il campo magnetico terrestre può essere visto, per semplicità, come se al centro della Terra fosse presente una potentissima barra magnetica inclinata di 11°30’ rispetto all’asse terrestre.
    I punti in cui il diametro terrestre coincidente con la direzione del dipolo incontra la superficie terrestre sono detti poli geomagnetici: asse geomagnetico è il diametro terrestre anzidetto ed equatore geomagnetico è il cerchio massimo perpendicolare a questo asse e con centro in quello del dipolo.
    Il polo situato nell’emisfero settentrionale, indicato convenzionalmente con B (boreale), ha polarità negativa e si trova a 78°30’ N, 69° W, mentre l’altro, indicato con A (australe), risulta positivo, con posizione 78°30’ S, 111° E.
    L’effetto dovuto al campo magnetico residuo fa si che i due punti in cui l’inclinazione magnetica risulta di 90° non coincidano con i poli geomagnetici; tali punti definiscono i poli magnetici: quello indicato dal polo N dell’ago della bussola si trova nello Arcipelago Artico canadese, mentre quello S è ubicato nell’Antartide; nel 1998 le loro posizioni erano rispettivamente 78°34’ N, 104°45’ W, 65°4’ S, 139°5’ E.


    L'unità di misura del campo per convenzione internazionale è solitamente espressa in termini del vettore d'induzione B. La sua unità nel Sistema Internazionale (SI) è il tesla (T), ma nella pratica viene usato un suo sottomultiplo, il nT (10^-9 T). Sulla superficie terrestre, il valore del campo varia in intensità, dall'equatore ai poli, da circa 20000 nT a 70000 nT.
    Un modo comune di descrivere il campo magnetico terrestre è quello di graficare, in corrispondenza della superficie terrestre, i differenti elementi magnetici, quali ad esempio l'intensità totale o la declinazione del campo. Si ottengono in questo modo le carte isomagnetiche cioè mappe in cui punti di uguale intensità sono uniti attraverso delle linee chiuse. Il nome di queste carte varia ovviamente a seconda dell'elemento magnetico graficato, si parla di carte isocline nel caso in cui vengano riportati i valori dell'inclinazione, di carte isodinamiche qualora sia graficata una qualunque componente intensiva (X, Y, Z, H, F) del campo ed infine di isogone nel caso della declinazione.
    Talvolta si verificano forti e persistenti disturbi del campo magnetico terrestre che portano ad una diminuzione dell'intensità della componente orizzontale (H) del campo magnetico sulla superficie del pianeta. In questi periodi magneticamente perturbati, definiti come tempeste magnetiche, si manifestano pertanto delle variazioni del campo magnetico osservato in superficie che, pur essendo irregolari, presentano delle caratteristiche sistematiche nel loro andamento temporale.
    Generalmente, ma non sempre, la tempesta magnetica inizia con un improvviso aumento, detto SSC (da Storm Sudden Commencement), dell'intensità della componente orizzontale H del campo magnetico terrestre. L'SSC, pur essendo un fenomeno planetario può variare in latitudine e tempo locale. Immediatamente dopo l'SSC (entro un'ora) troviamo la fase iniziale della tempesta che ha inizio con un repentino aumento dell'intensità della componente orizzontale H che può, nell'arco di 2-3 minuti, aumentare fino a 30 nT.
    In seguito la componente H, pur fluttuando, si mantiene con un valore elevato per alcune ore (da 1 a 10) per poi diminuire bruscamente raggiungendo un valore nettamente inferiore a quello di partenza (la fase principale). Ha inizio, a questo punto, la fase di recupero della tempesta in cui l'intensità della componente orizzontale del campo magnetico aumenta nuovamente, dapprima con un tempo di scala di qualche ora, poi di qualche giorno, fino a raggiungere nuovamente il valore pre-tempesta. Questa evoluzione è definibile su base statistica; esaminando invece le singole tempeste è possibile trovare una notevole varietà di andamenti. Ci sono, infatti, perturbazioni in cui l'andamento di H è strettamente conforme all'andamento descritto così come vi sono geomagnetici in cui non tutte le fasi sono perfettamente individuabili.
    A causa delle anomalie l’andamento del campo è in realtà molto irregolare: l’equatore ed i meridiani magnetici risultano linee contorte. Il campo subisce inoltre delle oscillazioni nel tempo, variabili da luogo a luogo, in rapporto a fattori cosmici e solari e a cause interne collegate con l’origine stessa del campo magnetico.


    Perché piove?


    Le nubi sono composte da gocce d'acqua e da aghetti di ghiaccio di piccolissime dimensioni. Se la temperatura del cielo raggiunge i - 40 ° C, gli aghetti di ghiaccio tendono ad ingrossarsi a spese delle goccioline d'acqua. Quando diventano sufficientemente pesanti, i cristalli precipitano verso terra. Tutto questo accade solo quando la nube si trova in una regione dove la temperatura è sufficientemente bassa, cosa che nella troposfera avviene spesso in autunno, inverno e primavera. In estate, invece, ciò accade soltanto se le nubi si trovano ad altitudini superiori ai 3.000 metri.
    Quando il suolo e l'aria più vicina alla superficie hanno temperature molto basse, l'acqua può arrivare a terra in forma di neve. Viceversa, se la temperatura è troppo alta, come accade nelle regioni desertiche, l'acqua finisce per evaporare prima di giungere sul terreno. In alcuni casi la pioggia si produce anche a temperature più alte dei - 40° C. Infatti, in condizioni particolari - ad esempio, in presenza di elettricità nella nube - le goccioline tendono ad urtarsi e ad aggregarsi in gocce più grandi, che a loro volta inglobano altre goccioline e si sviluppano fino a staccarsi dalla nuvola. Questo tipo di pioggia è caratteristico delle zone tropicali.

    Tempo meteorologico

    Il tempo meteorologico è lo stato dell'atmosfera in un dato istante. Non va confuso con il clima, che è lo stato dell'atmosfera in un periodo molto lungo.
    Lo strato atmosferico che interessa maggiormente i meteorologi è la troposfera, quello più vicino alla superficie terrestre. Per prevedere l'evolversi della situazione meteorologica è necessario analizzare ed elaborare una serie di dati come la temperatura, l'umidità e la pressione atmosferica. Per far ciò si utilizzano strumenti come il termometro, per la temperatura, l'igrometro a cappello e lo psicrometro, per l'umidità, il barometro a mercurio o metallico, per la pressione. Inoltre vanno studiati e tenuti in considerazione i venti, le correnti e le idrometeore. Queste ultime comprendono tutti i fenomeni atmosferici che riguardano la condensazione del vapore acqueo come le nubi e le precipitazioni di pioggia, neve e così via.
    La moderna meteorologia è una disciplina molto recente: si può dire che sia nata l'esplorazione dell'atmosfera e con l'invenzione del telegrafo (XIX secolo). Prima, senza la possibilità di trasmissione delle informazioni in tempo reale, era impossibile avere un quadro dell'evolversi della situazione su aree sufficientemente estese.
    Oggi questa scienza si è molto affinata e può avvalersi di mezzi molto sofisticati: i computer e i satelliti artificiali orbitanti, in grado di raccogliere ed elaborare una grande massa di informazioni che consentono previsioni abbastanza precise anche per periodi molto lunghi.

    L'umidità

    Nell'atmosfera l'acqua si manifesta allo stato liquido - sotto forma di pioggia -, allo stato solido - sotto forma di aghetti di ghiaccio (ad esempio nelle nubi) - e allo stato aeriforme come vapore acqueo. L'umidità è la fase gassosa. Quando in meteorologia si parla di umidità, si fa riferimento alla quantità di vapore acqueo presente nell'aria. L'acqua viene immessa nell'aria per evaporazione dal suolo e dagli specchi d'acqua o per traspirazione dalla vegetazione.
    L'umidità gioca un ruolo importante nelle variazioni di pressione e, di conseguenza, nel sistema dei venti. Se nell'aria è presente il vapore acqueo, infatti, significa che esso ha sostituito altri elementi più pesanti, come l'azoto o l'ossigeno. Perciò tanto più l'aria è umida tanto più è leggera e minore è la pressione che esercita.
    Le nebbie si formano quando una massa d'aria carica di umidità viene a contatto con una superficie più fredda. Le nubi, invece, si formano a causa di un raffreddamento in quota.
    Per misurare l'umidità si utilizzano l'igrometro e lo psicrometro.

    L'arcobaleno

    L'arcobaleno è l'arco di luce colorata che appare a un osservatore quando i raggi del Sole, alle sue spalle, si riflettono e si rifrangono su uno strato di pioggia o di goccioline d'acqua e di vapore sospesi nell'aria. Ogni goccia riflette la luce con un'angolatura diversa e ad ogni angolatura corrisponde un colore diverso.
    L'arcobaleno è composto dai cosiddetti sette colori dello spettro solare - o colori dell'iride -: il rosso, l'arancione, il giallo, il verde, l'azzurro, l'indaco e il violetto. L'intensità dei colori deriva anche dalle dimensioni delle gocce: se sono di considerevoli dimensioni, i colori si vedono nitidi e distinti, altrimenti tendono a risultare sovrapposti. La nebbia, che è formata da gocce minuscole, può dare origine ad arcobaleni bianchi, cioè con tutti i colori sovrapposti.
    Poiché le perturbazioni che portano pioggia, solitamente, si spostano da ovest verso est mentre il Sole sorge a est per tramontare a ovest, se l'arcobaleno compare verso sera è probabile che la pioggia si stia allontanando da noi. Se invece è visibile al mattino, quando il Sole è a est, significa che la pioggia sta per arrivare.

    Aurore polari

    L'aurora polare è uno spettacolare fenomeno naturale che si manifesta nei cieli notturni delle regioni polari. Si tratta di chiazze, archi, raggi, nuvole di luce pulsante, corone, "fiamme" o grandi drappeggi luminosi che mutano forme. Questi fenomeni hanno colori cangianti - verde, rosso, bianco - e si manifestano solitamente ad altitudini comprese tra i 30 e i 300 chilometri da terra, anche se sembra che possano talvolta verificarsi ad altitudini molto superiori, sino a 1.000 chilometri. A seconda dell'emisfero in cui si verificano, le aurore sono dette boreali o australi.
    In passato si pensava che queste aurore si manifestassero soltanto nelle regioni artiche, per questo motivo sono più note le aurore boreali di quelle australi. Oggi sappiamo invece che sono osservabili alle latitudini prossime ad entrambi i poli, anche se, eccezionalmente, possono apparire anche ad altre latitudini e, in passato, sono apparse persino nei cieli italiani.
    Le aurore polari sono dovute all'interazione fra il campo magnetico terrestre e il vento solare. Il Sole, infatti, emana un vento di particelle cariche di energia - elettroni e protoni - che seguono le linee del campo magnetico terrestre, le quali, nelle zone polari, sono perpendicolari alla superficie del nostro pianeta. Entrando nell'atmosfera stimolano i gas presenti nell'aria che, a loro volta, emettono luminescenze rosse (azoto) o verdi (ossigeno).
    Ogni anno si verificano circa un centinaio di aurore polari e, nei periodi di intensa attività del Sole, sono anche più frequenti.

    Perché nevica?

    Molto spesso le gocce di pioggia iniziano la caduta verso terra in forma di cristalli di ghiaccio. Attorno a questi si aggregano delle goccioline d'acqua che vanno a formare il fiocco di neve. Se negli strati più bassi della troposfera - la parte di atmosfera più vicina alla superficie - la temperatura è sufficientemente bassa, si verificherà una nevicata, altrimenti avremo solo pioggia.
    Perché la neve possa ricoprire il suolo è necessario che anche il terreno abbia una temperatura bassa. Quando l'aria più vicina alla superficie non è molto fredda (cioè sopra gli 0° C) la neve si scioglie immediatamente.
    I cristalli di neve si raggruppano in fiocchi e sono tutti diversi l'uno dall'altro: hanno strutture simili - sono tutti esagonali - ma non ne esistono due esattamente identici. I fiocchi sono molto più leggeri delle gocce d'acqua: se scendono da una nuvola alta 3.000 metri possono anche impiegare più di due giorni per giungere a terra.

    sabato 1 gennaio 2011

    Come si formano le nubi?

    Le nubi sono costituite da piccolissime gocce d'acqua e da aghetti di ghiaccio in sospensione. La formazione di una nube ha inizio quando l'aria, che contiene umidità, si alza e si condensa liberando calore e raffreddandosi. Le prime goccioline che consentono lo sviluppo della nuvola si formano attorno a microscopici, invisibili nuclei di pulviscolo, che sono presenti nell'atmosfera. Le minuscole goccioline possono poi unirsi in gocce di pioggia, che sono più grosse e riescono a cadere a terra senza evaporare.
    Le nubi ci appaiono con aspetti differenti. Se la risalita dell'aria umida avviene per moti convettivi, in veloce ascensione, si formano nuvole a sviluppo verticale dette cumuliformi - quali i cumuli e i cumulonembi - che si trovano ad altitudini che vanno dai 5.000 ai 18.000 metri. Se la risalita dell'aria, invece, avviene a causa del superamento di una montagna o lungo una superficie frontale, generata dal contatto fra due masse d'aria a temperatura differente, si formano nubi estese in senso orizzontale dette stratiformi. A questo gruppo appartengono gli stratocumuli, i nembostrati e gli strati a bassa quota (che arrivano al massimo fino ai 2.500 metri), gli altostrati e gli altocumuli a quote medie (da 2.500 a 6.000 metri), i cirri, i cirrostrati e i cirrocumuli ad alta quota (oltre i 6.000 metri).
    Guardandole dal basso, le nuvole possono apparire chiare o scure: nel primo caso si tratta di nubi alte, trasparenti, costituite prevalentemente da aghetti di ghiaccio, nel secondo caso, invece, si tratta di nubi costituite da gocce d'acqua che la luce non può attraversare. Queste sono le nubi che a breve scadenza portano la pioggia.

    Cosa sono gli alisei?

    Gli alisei sono i venti che soffiano regolari per tutto l'anno verso l'equatore. L'aria dell'equatore, fortemente riscaldata dal Sole, tende a salire formando una corrente ascensionale e lasciando sotto di sé una zona di bassa pressione. Una volta salita, l'aria si raffredda e si sviluppano le piogge caratteristiche del clima umido delle zone equatoriali. Perso il vapore acqueo e divenuta fredda, l'aria ridiscende a nord e a sud dell'equatore, in due fasce simmetriche di altra pressione (alte pressioni subtropicali). Poiché i venti spirano dalle zone di alta pressione verso quelle di bassa pressione, la differenza tra le alte pressioni subtropicali e le basse pressioni equatoriali dà origine a uno spostamento d'aria verso l'equatore: gli alisei.
    Gli alisei hanno velocità mediamente costante di circa 30 chilometri orari. Nell'emisfero boreale soffiano da nord-est verso l'equatore, nell'emisfero australe da sud-est verso l'equatore. Se la Terra non girasse su se stessa i venti si muoverebbero da nord e da sud in direzione dell'equatore, seguendo la via diretta dei meridiani: tuttavia a causa del moto di rotazione terrestre da ovest verso est vengono deviati. Questa forza deviante fu scoperta nel XVIII secolo dallo scienziato francese Coriolis.

    Monsoni, cosa sono?

    Il monsone è un sistema di venti periodici la cui direzione si inverte da un semestre all'altro, in seguito all'alternarsi delle aree di alta e bassa pressione. L'area geografica tipicamente interessata dai monsoni è la fascia tropicale dell'Oceano Indiano.
    Poiché la terra si raffredda e si riscalda molto più velocemente dell'acqua, durante il periodo estivo i continenti si riscaldano maggiormente rispetto agli oceani circostanti. Si sviluppano in questo modo aree continentali di bassa pressione verso le quali convergono i venti. Questi venti, che spirano dal mare verso la terra, sono i monsoni estivi. Sono apportatori di precipitazioni liquide in quanto costituiti da masse d'aria umida provenienti dal mare.
    D'inverno avviene il contrario: gli oceani si raffreddano meno dei continenti e diventano zone di bassa pressione verso le quali spirano i monsoni invernali, provenienti dalla terra e quindi portatori di aria secca.

    Vento, Le origini.

    Le varie zone della Terra sono sottoposte ad una differente pressione atmosferic: più l'aria è pesante, maggiore è la pressione atmosferica. La pressione, a sua volta, dipende dalla temperatura e dall'umidità. Se la temperatura sale, la pressione diminuisce; se scende, la pressione aumenta. Se l'umidità aumenta l'aria si fa leggera, se invece cala, l'aria si appesantisce.
    Le masse d'aria tendono a spostarsi dalle zone di alta pressione a quelle di bassa pressione. Questi spostamenti d'aria sono appunto i venti, dovuti al mutare dell'umidità e della temperatura.
    Lo schema generale della circolazione atmosferica segue un meccanismo di circolazione termica a circuito chiuso chiamato cellula di Hadley, dal nome del suo scopritore, George Hadley, studioso del XVIII secolo. L'aria dell'equatore, fortemente riscaldata dal Sole, tende a salire formando una corrente ascensionale e lasciando sotto di sé una zona di bassa pressione. Una volta salita, l'aria si raffredda e si sviluppano le piogge caratteristiche del clima umido delle zone equatoriali. Perso il vapore acqueo e divenuta fredda, l'aria ridiscende a nord e a sud dell'equatore, in due fasce simmetriche di altra pressione (alte pressioni subtropicali).
    Quindi, generalizzando, si possono distinguere zone di alta pressione in corrispondenza delle regioni polari e di quelle subtroplicali, e zone di basse pressioni nelle regioni equatoriali e temperate. La differenza tra le alte pressioni subtropicali e le depressioni equatoriali dà origine a uno spostamento d'aria verso l'equatore. Il risultato dell'equilibrio di queste forze sono gli alisei.
    Gli alisei hanno direzione e velocità più o meno costanti e soffiano da nord-est nell'emisfero boreale e da sud-est nell'emisfero australe. Se la Terra non girasse su se stessa i venti si muoverebbero da nord e da sud in direzione dell'equatore, ma a causa del moto di rotazione terrestre da ovest verso est, vengono deviati (forza di Coriolis).
    Dalle zone delle alte pressioni subtropicali partono venti verso le zone temperate, i cosiddetti venti occidentali. Dalle regioni polari, che sono zone di alta pressione, soffiano dei venti molto freddi (venti polari), diretti verso le zone temperate. I venti occidentali caldi e i venti polari freddi convergono in una zona chiamata fronte polare, caratterizzata da abbondanti precipitazioni.
    Ci sono venti che cambiano direzione nel corso dell'anno: i monsoni. Per sei mesi soffiano dal mare verso il continente e per il resto dell'anno spirano da terra verso l'oceano. Altri venti sono solo locali e variabili, cioè non soffiano costantemente come gli alisei: quelli che più interessano l'Italia sono lo scirocco (vento caldo che arriva dall'Africa), il libeccio (da sud-ovest), il maestrale (dalla Francia), la tramontana (da nord).

    La pressione atmosferica

    La pressione atmosferica è il carico esercitato dall'atmosfera sulla superficie terrestre. Sulla Terra esistono zone sottoposte a pressioni diverse ma l'aria tende a spostarsi dalle zone a maggiore carico, quindi ad alta pressione, alle zone a bassa pressione, sottoposte a un carico minore. Il vento è quindi uno spostamento d'aria tra due punti in condizioni di pressione differenti.
    La Terra è immersa in una massa d'aria che esercita sulla sua superficie un carico pari a 1.033 grammi per centimetro quadrato, se il carico è misurato sul livello del mare ad una temperatura di 0° C e a 45° di latitudine. Questo carico è dovuto alla gravità e al peso degli strati soprastanti. Quindi la pressione dell'aria è massima alla superficie della Terra e diminuisce progressivamente salendo in altitudine. Lo strumento utilizzato per quantificare la pressione atmosferica è il barometro. L'unità di misura è l'atmosfera, pari al carico esercitato da una colonnina di mercurio di 760 millimetri con sezione di 1 centimetro quadrato. In meteorologia si usa un'unità di misura differente, il millibar, che corrisponde a circa 1/1.000 di un'atmosfera. La pressione scende quando sale la temperatura. Infatti, se la temperatura aumenta l'aria si dilata, andando ad occupare un volume maggiore benché la sua massa rimanga costante. Così si verifica una diminuzione del peso e quindi della pressione esercitata. Viceversa, quando la temperatura scende si avranno degli aumenti di pressione.
    Anche l'umidità gioca un ruolo importante nelle variazioni di pressione. Infatti, se nell'aria è presente vapore acqueo, significa che esso ha sostituito altri elementi più pesanti come azoto o ossigeno. Da ciò deriva che più l'aria è umida, più è leggera e di conseguenza esercita una minore pressione.

    L'inquinamento è pericoloso?

    L'inquinamento peggiora notevolmente la qualità dell'aria, dell'acqua e del suolo. La minaccia riguarda tutto il pianeta, perché le correnti dell'aria e del mare diffondono le sostanze pericolose per tutto il globo.
    Per quanto concerne le regioni atmosferiche più basse (troposfera) le sostanze e i gas inquinanti di solito vengono scissi o assimilati dall'umidità in un periodo di alcuni mesi, mentre nella stratosfera possono restare in sospensione anche per anni.
    Al verificarsi di particolari condizioni meteorologiche, nebbia e gas inquinanti si fondono nello smog, che oscura il cielo dei grandi centri abitati. L'inquinamento può seguire diversi processi. I fumi delle industrie si mescolano con il vapore delle nubi, le cui piogge, ricadendo acide sulla terra, distruggono piante e contaminano mari, fiumi e laghi.
    I gas di scarico emessi da industrie e automobili determinano l'aumento della quantità di anidride solforosa e carbonica. Quest'ultima è doppiamente pericolosa perché se arriva a livelli troppo elevati può sconvolgere il delicato equilibrio dell'effetto serra. Come conseguenza potremmo avere un graduale aumento della temperatura media sulla Terra, che potrebbe completamente sconvolgere gli equilibri della biosfera.
    L'inquinamento rischia anche di distruggere il sottile strato atmosferico di ozono che protegge la superficie dai raggi ultravioletti: le radiazioni letali emesse dal Sole. Se l'ozono dovesse scomparire dai nostri cieli, piante e animali non avrebbero modo di sopravvivere.
    Tra gli altri rischi di inquinamento, bisogna ricordare che in agricoltura si fa ampio uso di fertilizzanti e pesticidi che contaminano il terreno, filtrano nelle falde acquifere sotterranee e vengono trascinate in mare. Un altro serio problema è quello del petrolio e dei liquami che finiscono depositati in mare e vengono diffusi in tutti gli oceani dalle correnti marine. Negli oceani, infine, vengono scaricati fusti contenenti scorie radioattive, talvolta senza rispettare tutte le procedure di sicurezza necessarie.
    Ma non sempre è l'uomo il responsabile dei disastri ambientali: anche le eruzioni vulcaniche, per esempio, inquinano l'atmosfera con emissioni di anidride solforosa.

    Nubi nottilucenti

    Le nubi nottelucenti si vedono durante la notte.

    Le nubi nottilucenti si chiamano così perché sono visibili solo di notte. Sono di colore argenteo e brillano a causa della luce del Sole che, anche se è ormai calato al di sotto dell'orizzonte di un osservatore posto sulla superficie terrestre, riesce ugualmente a raggiungerle rendendole sfavillanti. Al contrario delle normali nubi, non sono formate da gocce d'acqua e non provocano la pioggia: pare che siano composte da polveri di origine meteorica o vulcanica. In passato è stato sostenuto che siano formate da piccolissimi corpuscoli di ghiaccio, ma l'ipotesi sembra oggi poco plausibile, perché queste strane nubi si formano in zone del cielo dove il vapore acqueo è quasi assente. Le nubi nottilucenti si trovano infatti a circa 80 chilometri di altitudine, nella regione dell'atmosfera chiamata mesosfera. Sono notevolmente più alte delle nubi comuni, cioè quelle vaporose, che solcano i cieli della troposfera, che non supera i 15 chilometri di altezza dal suolo.

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